ANALYSE  RÉFÉRENTIELLE
ET  ARCHÉOLOGIQUE


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Ennio Floris



Ulisse



Drama in otto quadri






Primo  Quadro :

I  due  supplicanti


(nella veranda)





Sommario
Dedica
Personaggi
Prologo

I due supplicanti
- Scena Prima
- Scena Seconda
- Scena Terza

L’arrivo di Nausica

La deliberazione dell’impresa

L’addio

Il viaggio nell’oceano

L’omaggio al Re dell’Atlantide

L’uccisione di Poseidon

Il sacrificio di Ulisse


SCENA PRIMA


(Ulisse, Penèlope, una schiava)



Veranda sul mare. A destra, dietro la colonne, si vede Penèlope seduta al telaio. Nella sala, una colonnetta che sorregge la statua di Atena. Un cassone scolpito e dopinto. Un candelabro.



ULISSE
A Penèlope, mentre una schiava l’aiuta a vestirsi

– Scusami, cara, vieni a vedere se il mio aspetto è conforme al decoro e alla dignità del Re di
Itaca.


PENÈLOPE
Accostandosi e guardandolo con admirazione

– Stupendo !
Ulisse, sei ritornato ad essere quell’eroe che era andato a Troia. Temo che Poseidon ne ri­manga geloso e sbuffi d’ira.


ULISSE
Alla schiava accarezzandola

– Va ninfetta, hai lavorato proprio con gusto.
La schiava parte

A Penèlope

– Se sono veramente ritornato ad essere l’antico eroe, perché, cara, il tuo affetto per me diminuisce ?


PENÈLOPE

– Che dici, nobile sposo ? Tu prendi gusto a farmi soffrire.


ULISSE

– Non ne ho l’intenzione, cara. Mi accorgo peró che tu passi le ore libere quasi sempre al telaio come un tempo, quando ingannavi i tuoi pretendenti. Ma chi vorresti ingannare ora ?


PENÈLOPE

– Nessuno, caro. Temi forse che prepari il corredo per nuove nozze ? Oh ! stai sicuro, tu sei e sarai sempre il mio sposo. Devo riconoscere però che ho fatto male a non dirtelo prima : voglio tessere una tunica di supplicante.


ULISSE

– Supplicante ? E perché ? Per domandare agli Dei che m’impediscano di correre per i mari ?


PENÈLOPE

– Non proprio per questo, quantunque creda che il tuo istinto di delfino ti spingerà ancora a ricercare isole o scogli sperduti, dove abitano solitarie ninfe o nereidi... Voglio invece pregarli perché tolgano la maledizione che pesa su di te e sulla nostra famiglia. Temo soprattutto per Telèmaco. Poseidon potrebbe riversare su di lui i colpi che gli sono falliti su di te.


ULISSE

– Il tuo pensiero è nobile, Penèlope, ma il proposito di farti supplicante mi sembra fuori posto. È vero che Poseidon mi ha sempre perseguitato, cercando con tutti i mezzi di impedirmi il ritorno in patria, ma non è riuscito nel suo intento, perché sono stato protetto da Atèna, figlia de Zeus, che ha spesso placato l’ira del Dio, intercedendo per me presso suo padre ; ha intenerito il cuor delle nereidi, quello di Circe e di Calipso ; ha disposto in mio favore l’animo dei re in quelle terre dove fui gettato dalle onde. L’amore d’Atèna ha vinto l’odio di Poseidon.


PENÈLOPE

– Tutto questo è vero, Ulisse, ma no devi credere che l’ira di Poseidon sia cessata. Avendo fallito nel suo intento, il Dio sarà verso di noi più volento e im­placabile.


ULISSE

– Che potrà fare ancora ? E poi, il Dio non può avere altro potere che sui mari, ché la terra come il cielo rimangono riservati al dominio supremo di Zeus.


PENÈLOPE

– Mi sembra che tu dimentichi, o figlio di Laerte, che Poseidon ha potere anche sulle città marine, come l’ha anche sui fiumi. Potrebbe vendicarsi contro la nostra città e le coste della nostra isola. Ascolta, non lo sai ancora ? per vendicarsi contro i Feaci, che ti hanno condotto qui in Itaca, Poseidon ha gettato una montagna sul porto della loro città, trasformandola in un villaggio di campagna ! Credi che il Dio non farà la stessa cosa per la nostra città.


ULISSE

– Dici il vero ? Poseidon ha fatto questo contro i Feaci ? Oh, povero Alcinoo, Re valente e generoso e Areté, sposa nobile e virtuosa ! E tu, piccola Nausica, che ti trovi cosi lontana del mare, tu che per revela­zione d’Atèna eri venuta sulla spiaggia dove, nau­frago, giacevo come in uomo morto ! Non sei stata tu che mi hai fatto lavare, ungere d’olio, che mi hai rifocillato e condotto nella casa di tuo padre ?


PENÈLOPE

– Non credevo proprio, o figlio di Laerte, che fossi ancora si preso d’amore per Nausica !


ULISSE

– Perché mi dici cosi ? Pensi forse ch’io sia innamo­rato di lei ?


PENÈLOPE

– E me lo domandi ? Non ti accorgi come il pensiero di lei ti eccita facendoti anche poeta ?


ULISSE

– Ti sbagli, Penèlope. Se l’avessi amata, l’avrei presa con me quando su padre me l’aveva offerta come sposa. Invece ci ho rinunziato, rimanendoti fedele.


PENÈLOPE

– Devo ringraziarti perché mi hai preferita ? Ma lo hai fatto per amore oppure per condurre a termine la grande impresa di ritornare in patria contro le ire dei mari e degli Dei ? Hai pensato a me o piuttosto alla gloria che ti sarebbe venuta con questo ritorno ?... Oh sono sicura, me lo dice il cuore, che tu l’amavi, pur riconoscendo che hai rinunciato ad essa per amore della gloria.


ULISSE

– Mi accorgo che sei gelosa. Se anch’io dovessi ragionare come te, dovrei dire che mi hai aspettato e hai cercato di ingannare i tuoi pretendenti facendo e disfacendo la tua tela, non perché me amavi, ma per essere l’eroina del grande evento del ritorno. È forse per questo che, quando mi hai rivisto, non hai mani­festato nessuna gioia.


PENÈLOPE

– Avrei potuto manifestare la gioia quando non ti avevo riconosciuto ? Sei venuto come un mendicante ed io tei ho accolto con ospitalità, offrendoti la mia casa. Avresti forse voluto che mi fossi innamorata di te, come Nausica ? Non avevo ricevuto com’essa il privilegio di vedere in sogno Atèna ! E poi, non ho dato ordine alla tua balia di lavarti, non ti ho invitato al banchetto dei pretendenti ? Che potevo fare di più ?


ULISSE

– Non ti accuso, cara, di aver mancato ai doveri d’ospitalità. No, tu sei stata fedele alle nostre tradi­zioni. Mi lamento solo che tu non mi abbia ri­conosciuto.


PENÈLOPE

– Come avrei potuto riconoscerti se, dopo dieci anni di assenza, tu avevi cambiato aspetto e, di più, ti eri presentato come uno straniero, un errante ?


ULISSE

– Eppure c’è stato uno che mi ha riconosciuto, non­ostante il cambiamento del mio aspetto.


PENÈLOPE

– Chi ?


ULISSE

– Il nostro cane, cara. Appena mi ha visto, mi è saltato addosso con gioia, per cadere subito dopo morto ai miei piedi. Si, solo il nostro cane mi ha riconosciuto senza aver bisogno di segni !


PENÈLOPE
Ostentando indifferenza

– È morto por questo, Argos ? Credevo che fosse soltando per vecchiaia... Ma insomma, che cosa vuoi insinuare con questo ? Pretendi forse che avessi nutrito per te un amore come quello di un cane ?


ULISSE

– Si, come quello di un cane, visto che il cane ha manifestato per me un’affezione che supera quella degli uomini, incapaci di amare senza i segni di riconoscimento.


PENÈLOPE

– Celebre per la saggezza e per la grande conoscenza che hai degli uomini e delle cose, tu ignori, Ulisse, il cuore delle donne. Forse perché tu ti comporti piut­tosto come un eroe che come un uomo. Non ti accor­gi come puoi essere duro nei miei riguardi mentre, di solito, sei tenero verso le ninfe e le divinità ?
   Amarti come ti ha amato il nostro Argos ! Ma un cane resta sempre affezionato al suo padrone, perché non può dubitare della sua identità, non può pensare che, allontanandosi, egli possa morire... Non gli verrà in mente che possa anche non amarlo. Una donna invece può avere delle ragioni per dubitarne. E, sebbene non abbia il fiuto cosi fine come quello del cane, possiede un cuore si sensibile da accorgersense non fosse amata.
   Vedi, caro, dopo tanti anni di assenza, io dubitavo che tu potessi ancora vivere. Ero spesso assalita dal pensiero che, vivendo per grazia degli Dei, tu mi avessi abbandonata. Non potevo credere al tuo ritorno senza vedere i segni di riconoscimento. Oh, come è difficile a un eroe di sentire come un uomo !


ULISSE

– Perdonami, cara, se sono stato duro. Non credere però che lo sia stato per mancanza d’amore. La mia coscienza d’eroe mi porta a essere cosi esigente verso gli altri come lo sono verso me stesso. L’eroismo mi obbliga ad usare sempre l’astuzia contro la forza e la forza contro gli intrighi dell’astuzia. Ma non parliamo più du questo ; cerchiamo di rivivere il nostro primitivo amore nella casa ritrovata. Ma rinunzia, ti prego, a restare avviticchiata al telaio.


PENÈLOPE

– Lo farò presto, Ulisse, perché ho quasi finito la tela per la mia tunica. Ma se tu intendi che debba rinun­ziare al proposito di presentarmi come supplicante, ti dirò che non posso, perché l’ho promesso solenne­mente agli Dei. Sarò supplicante fino a quando Poseidon rinunzierà alla sua collera contro di te e il nostro popolo. Ritornerò al tuo amore quando tu sarai in grado di comportarti non più come eroe chiamato alla guerra, ma come uomo dedicato alla pace.


ULISSE

– La guerra di Troia è finita, cara. Ti assicuro che il mio animo non cerca che la pace.


PENÈLOPE

– La guerra di Troia era finita da dieci anni, eppure quando sei rientrato in casa, non ti sei comportato come un uomo ma come un eroe chiamato ancora una volta alla lotta. Io non sapevo niente della strage che tu avevi fatto dei pretendenti, avendo avuto l’accortezza di far lavare la sala macchiata orribil­mente di sangue. Ma al mattino, dopo la notte del nostro amore, scesa nel cortile, ho potuto vedere la strage : i cadaveri dei miei pretendenti erano accumu­lati nei fossati come tronchi spezzati e imputriditi. Oh, figli delle grandi famiglie degli Achei ! Eravate giovani e belli, pini rigoglioso aperti alla brezza del mare e ora, non siete che rami spezzati dalla tempesta ! L’an­goscia mi aveva presa fino a diventarne pazza. Ma qui non sono a Troia, dicevo, qui, mi trovo in casa mia, nel cortile dove fioriscono gli aranci e i limoni, dove profuma il gelsomino. Perché questa strage ?... L’eroe aveva ancora bisogno di sangue, per ottenere giustizia ! E stata la vista di quei cadaveri che mi ha spinta a offrirmi come supplicante.

ULISSE

– Capisco il tuo spavento, Penèlope. Ma tu dimentichi che questi giovani rigoglioso, questo fiore delle fami­glie achee, erano quelli che, col pretesto di prenderti come sposa, volevano impadronirsi del regno e ave­vano cercato con tutti i mezzi di uccidere nostro figlio, decisi anche di sopprimermi se fossi tornato. Perché provi della compassione quando avresti dovuto avere sentimenti di vendetta e di giustizia ? Non provi disgusto al pensiero che saresti potuta cadere come una cortigiana, vittima della loro bra­miosa ?


PENÈLOPE

– Ma se, invece di ucciderli, tu avessi avuto pietà di loro, riflettendo che erano vittime della loro giovinez­za, tu avresti compiuto un’impresa degna della più grande gloria e della riconoscenza della patria. Forse avresti incominciato un’era nuova d’eroismo.


ULISSE

– Tu parli di pietà. Ora la pietà possono averla gli Dei verso quelli che si rivolgono a loro come supplicanti, ma non gli eroi verso i loro nemici. Tu sai che mi avrebbero ucciso se non avessi prevenuto i loro attacchi armati ? Come avrei potuto difendermi ?


PENÈLOPE

– Rivelando la tua identità. Lo so, erano armati e sembravano decisi a tutto ma, se tu ti fossi manifes­tato, avebbero tremato solo al sentire il tuo nome. Tu sei stato bravo perché sei riuscito a ucciderli col tuo arco, ma saresti stato grande se li avessi frenati con la forza del tuo sguardo.


ULISSE

– E se m’avessero ucciso, come credo, che cosa avresti fatto ? Ti saresti offerta come moglie al mio uccisore ?


PENÈLOPE

– Me sarei uccisa, non trovando altra gloria che morire con te e per te.


ULISSE

– Mi accorgo che ti lasci trasportare da un sentimento eroici, quando invece esigi da me la rinunzia all’eroismo.


PENÈLOPE

– Eroismo d’amore !... Ma non ho avuto dagli Dei il privilegio di questo eroismo ! Vivo come se fossi ancora pretesa dai giovani che tu hai ucciso, mentre tu mi possedi, per conquista di guerra.


ULISSE

– Che coso dici, cara ? Di essere ancora pretesa da quei morti ? Ma sogni o sei malata ?


PENÈLOPE

– Sono sveglia, Ulisse e sana di spirito. Quei giovani che non sono riusciti a possedermi da viventi, cercano di avermi ora che sono morti. Essi ne revendicano la possessione perché hanno dato la loro vita per aver­mi. Se non riusciremo a placarli, essi lanceranno contro questa casa le Erinni, i cani infernali, fino a otterne la mia morte... Ma ecco, voglio soddisfare la loro giustizia, astenendomi di darmi a te, finché gli Dei li invitino alla pietà.


ULISSE

– Ed io, che devo fare ? Sono appena riuscito per l’intervento di Atèna, a fuggire l’ira di Poseidon, ed ecco che cado vittima delle Erinni, rimanendo anche privo di te.


PENÈLOPE

– Se vuoi sfuggire all’inseguimento delle Erinni, non ti resta che offrirti anche come supplicante di Poseidon. L’ira del Dio del mare non si calmerà se non quando tu gli offrirai quell’orgoglio che ti spinse a aprire una breccia nelle mura di Troia simulando il sacrificio del cavallo. Tu devi offrire al Dio il sacrificio simbolico di questo cavallo, come pure l’arco con cui tu hai ucciso i figli degli Achei come prima altri eroi. Soltanto cosi tu potrai rompere la catena di mali che si stringe sulla nostra razza. Pensa alle conseguenze di questa guerra. I nostri eroi sono quasi tutti morti. Alcuni sono stati uccisi dalle loro mogli. Tu stesso sei stato posto dagli Dei nella necessità di uccidere i figli dei grandi del tuo popolo. Non potrai resistere ancora all’ira di Pose­idon !


ULISSE

– Per quanto le tue parole siano amare, esse mi con­solano, Penèlope. Hai ragione, bisogna che anch’io divenga un supplicante degli Dei. Ora ricordo... Quan­do sono disceso negli inferi, Tiresia mi ha predetto il seguito ma anche la fine dei miei mali : Quando ritornerai nella tua terra, egli mi ha detto, tu metterai un remo sulle spalle e tu ne andrai nella campagna. Dove incontrerai uno che ti dirà « Perché porti questa pala di pane in mezzo al grano ? » ricordati che là sarà il luogo e il momento di offrire un sacrificio a Poseidon. E tu finirai ituoi giorni felice...


PENÈLOPE

– Sono contenta che il mio cuore ti abbia suggerito cose che ti aveva predetto l’indovino.


ULISSE

– D’accordo. Domani dovrò ricevere i padri dei pretendenti uccisi. Intendo far pace con loro, sigil­landola proprio col sacrificio del cavallo e con l’offerta al Dio del mio arco. Sarà un’èra nuova, dove la ragione e non la spada farà giustizia e domineranno la pietà verso gli Dei e l’amore verso gli uomini.


PENÈLOPE

– Si, noi passeremo dell’era degli eroi a quella degli uomini.

Abbraccia
Ulisse e se ne va nella camera di lavoro tirando la tenda dietro di sè.




Scritto verso il 1978




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