ANALYSE  RÉFÉRENTIELLE
ET  ARCHÉOLOGIQUE


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Ennio Floris



Ulisse



Drama in otto quadri






Settimo  Quadro :

L’uccisione di Poseidon


(Nel tempio)




Sommario
Dedica
Personaggi
Prologo

I due supplicanti

L’arrivo di Nausica

La deliberazione dell’impresa

L’addio

Il viaggio nell’oceano

L’omaggio al Re dell’Atlantide

L’uccisione di Poseidon
- Scena Prima
- Scena Seconda

Il sacrificio di Ulisse


SCENA SECONDA


(Ulisse, Diomede, Alcmeone, Nausica, detti)



Mentre gli uomini della corte si levano in piedi, en­tra­no in scena Diomede, portando il cavallo, Alcme­one, accompagnato di Nausica, Ulisse col suo arco. Essi eccetto Nausica, s’inginocchiano davanti al Dio.



POSEIDON

– Alzatevi.


ULISSE

Poseidon, Dio del mare, fratello del sommo Zeus e del terribile Adès, ecco ai tuoi piedi quell’Ulisse che da dieci anni tu hai perseguitato. Non vengo in veste di eroe ma di supplicante. Vengo per domandarti non la gloria per le gesta che ho compiuto, non la ricom­pensa per le pene che ho sofferto ma la misericordia per le offese che ti ho recato e la pace sia per me che la mia famiglia e per il popolo greco. La generosità del cuore cancelli in te ogni spirito di vendetta, come in me la devozione dissipa ogni rancore. Il mio viag­gio sia la via attraverso la quale la tua benignità tras­corre dall’Occidente verso l’Oriente. Accetta, o Dio, di gra­zia questi doni.


POSEIDON

– Non avrai più occasione di temermi, o eroe, ti sarò amico come lo è sempre stata Atèna.


DIOMEDE
Presentando il cavallo

– Questa, o
Dio, è l’icone di quel cavallo che, sotto l’inganno di un sacrificio, permise a me e ad Ulisse di aprire una breccia nelle mura di Troia e di incendiare la città. Il fuoco che lo brucerà possa estinguere la tua ira.


POSEIDON

– Voglio dimenticare questo torto decidendo di non bruciarlo. Lo terrò con me in ricordo di Arion, il ca­vallo che Demètra, dopo essere stata amata de me, aveva partorito ; il cavallo che aveva condotto alla vit­toria i sette contro Tèbe. Non serà più vittima di un sacrificio ma cimelio della mia gloria.


ALCMEONE
Presentando Nausica

– Ecco
la vergine che i Feaci t’offrono come media­tri­ce della tua misericordia e del tuo amore verso il po­polo greco. Non avrai forse nel tuo grande gineceo né donna più graziosa né ninfa più bella.

Nausica si porta avanti al Dio e si toglie il velo. Vestita di bianco, essa porta sulla testa una corona di fiori.


LE VERGINI

– Com’è bella questa straniera !

I loro veli frullano come ali.


POSEIDON
Con aria grave

– Perché sei restata in piedi e non ti sei messa in gi­nocchio ?


NAUSICA

– Mi hanno presentata a te come un’offerta, o
Dio, ed ero obbligata a non muovermi, come il cavallo e l’ar­co.


POSEIDON

– Tu sei tanto sagace quanto bella, fanciulla che vivi sotto lo sguardo di Atèna. Tu mi ricordi mia figlia, quella che non ha ancora ricevuto nome ma che tutti chiamamo concubina. Demètra l’aveva partorita as­sie­me ad Arion in seguito ai miei amori. Come ti chia­mi ?


NAUSICA

Nausica.


POSEIDON

– Anche nel tuo nome tu corrispondi a quella che il mio cuore desidera. Forse tua madre ti ha dato questo nome per suggerimento degli
Dei che sapevano che tu saresti venuta da me per nave. Il tuo nome è cosi bel­lo che voglio, da questo momento, che mi figlia sia chiamata anche lei Nausica. Tu sei mia figlia e mia sposa.

A Alcmeone.

   Dirai ai
Greci che accetto la loro offerta.


NAUSICA

– Non posso acconsentire, o
Dio, prima che tu sciol­ga l’enigma che avvolge la mia persona, come offer­ta.


POSEIDON

– Quale enigma ? Sono pronto a scioglierlo.


NAUSICA

– Ho potuto ritrovare Ulisse presso la fonte, perché Atèna mi era apparsa il mattino dicendomi d’andare a lavare la mia biancheria di nozze. Siccome Ulisse non ha potuto prendermi come moglie essendo già sposa­to, e dopo che tu hai punito la mia città per aver con­dotto l’eroe in patria, l’oracolo mi ha destinata a con­sacrarmi come vergine nel tuo tempio. C’è una con­tra­dizione fra le parole d’Atèna e quelle dell’ora­colo, perché la Dea m’invita alle nozze, mentre l’ora­colo vuole che io resti vergine. A quale delle due voci de­vo ubbidire ? Devo sottomettermi a Atèna o a te, che ti sei manifestato nell’oracolo ?


POSEIDON

– Giovane come sei, tu conosci già l’arte della dialet­tica in cui eccellono i Greci. Ma tu mi metti in opposi­zione con Atèna, quando in questo andiamo d’accor­do. Essa infatti ti ha invitata al matrimonio, senza pe­rò precisar se il tuo sposo sia un uomo o un Dio. Il mio oracolo ti chiama ad essere vergine nel tempio, ma consacrata al mio amore. La Dea, mia nipote, ti ha invitata alle nozze perché tu divenga mia sposa.


LE VERGINI

– Ahimé ! Ahimé !
Il Dio ha tolto i suoi sguardi dai nostri occhi per rivolgerli su quelli della bella stra­niera !


POSEIDON
A Diaforo

– Porta di nuovo la coppa per fare bere il sangue del toro a
Nausica, affinché in essa s’incarni la bella Cli­to.

Diaforo esce.


ULISSE

Dio, secondo le leggi che regolano le relazioni fra gli Dei e i mortali, non può un Dio accettare un dono e rifiutare un altro senza mettere in dubbio il suo con­senso. Tu non hai ancora accettato il mio arco.


POSEIDON

– Ah ! L’avevo dimenticato, amico
eroe. Ebbene of­frilo.


ULISSE

– T’offrirei, o
Poseidon, quest’arco per destinarlo al sacrificio del fuoco se non fossi convinto che esso deb­ba restare un’arma efficace per la difensa di Nau­sica, tua sposa. Proponguo dunque d’offrire assieme all’arco il mio servizio, almeno fino a quando avro’ instruito un arciere abile e valoroso per il suo uso.


POSEIDON

– Non è necessario,
Ulisse, perché i soldati della città prenderanno cura della ragazza e se loro non bastas­sero, ci sono io, Dio e marito.


ULISSE

– Non dubito della tua potenza, Poseidon, ma tu spesso sei assente, in quanto hai altri luoghi da visi­tare e molte concubine, disseminate nei mari e sugli scogli, a cui tu devi dare la gioia del tuo amore. Avrem­mo potuto incendiare Troia se tu non fossi stato assente ?


POSEIDON

– Basta allora che tu consegni l’arco a uno dei nostri arcieri che io farò custode di
Nausica.


ULISSE

– D’accordo, ma bisogna che questo arciere sia vera­mente valoroso e abbia molta pratica dell’arma, per­ché il mio arco non è come gli altri. Alcuni preten­den­ti di
mia moglie hanno tentato di usarlo ma non ci sono riusciti. Sono caduti tutti morti non appena io l’ho teso con la forza delle mie braccia.


POSEIDON

– Chialatemi subito
Taxote, il grande arciere. Lui non avrà alcuna difficoltà ad usare l’arma.

Mentre qualcuno va a cercare l’arciere,
Ulisse chia­ma Diomede perché resti vicino a se e gli affida l’arco che egli si mette a ripulire. Taxote en­tra spa­valdo e si avvicina a Ulisse e a Diomede sen­za parlare.


ULISSE

– Prendi, valoroso arciere. Fissa il bersaglio... Laggiù, all’angolo.

L’arciere prende l’arco, incocca la saetta, tende la corda e tira. Ma la saetta non coglie il bersaglio e cade come un corpo morto.

Riprendendo l’arco.

   No, vedi, tu l’hai afferrato male e non l’hai teso con tutte la tue forze... Guarda...

Tende l’arco e tira. La freccia centra il bersaglio.


TUTTI

– Che colpo ! Che precizione ! E con quale potenza !


ULISSE
Prende un’altra freccia, l’incocca e si rivolge a Poseidon mentre Diomede allontana Taxote con la scusa di parlargli.

– Finalmente, o
Poseidon, son riuscito ad averti per bersaglio, come un uccello in gabbia. Non potrai sfug­girmi, perché non potrai abbandonare il corpo nel quale ti sei stupidamente incarnato. Non ti trovi più davanti ad un Ulisse disarmato ma ad un Ulisse che impugna un’arma che non fallisce, quella stessa con cui ha steso nel sangue Antinoo, pretendente di sua moglie. Sono venuto fin qui solo per strapparti dalle mani Nausica, perché essa è mia, avendola ricevuta da Atèna. Se mi sono impegnato in una guerra per li­be­rare Elena che mi era estranea dalle mani di un barbaro, non mi fermerò ora che devo conquistare una donna che mi appartiene contro la potenza di un Dio.


POSEIDON
Pallido, i suoi acchi prima lucenti si spengono

– Ma che fai, pazzo ? Vuoi tu uccidere un
Dio ? Tu, uomo mortale ?


ULISSE

– Si, uomo mortale, ma eroe. Come Cronos ha ferito e vinto Urano, come Zeus ha messo in catena Cro­nos, ora un eroe per gli eroi abbatte e uccide gli Dei. I Titani fallirono nella lotta contro gli Dei, ma non falliscono gli eroi.

Con forza tende l’arco, la freccia scocca e Poseidon cade morto.


VOCI

Poseidon è morto !... Ulisse l’ha ucciso... I figli mor­tali hanno ucciso i padri immortali !

Pianti, grida, mentre Ulisse resta col suo arco te­so... Al fine tutti cadono ai suoi piedi.


ULISSE

– Alzatevi, o uomini che siete vissuti misconoscendo la forza divina che vi aveva portato Promèteo. Il Ti­ta­no non aveva rubato agli Dei solo una fiamma ma l’intelligenza, la scienza, la forza per le quali l’uomo, divenuto eroe, domina la natura e governa i mortali.


CORO DELLE VERGINI

– Abitanti delle isole, perle dell’oceano
   popoli dei continenti al di là delle
colonne d’Èracle,
   udite,
   hano ucciso
Poseidon
   il possente
Dio del mare
   che combatteva le tempeste
   a cavallo di flutti schiumosi.
   
L’eroe l’ha ucciso
   ferendolo sulla fronte
   con la freccia del suo arco
   Perché nessuno piange la morte
del Dio,
   e non sento venire dagli scogli sperduti
   il lamento delle
ninfe ?
   Il
Dio giace insepolto
   nel tempio senza culto.
   Vedo sul mare le vele rigonfie
   spingere le navi al battito del vento
   verso orizzonti coronati
   di ghirlande di gabbiani.
   E non hanno più paura dell’uragano.




Scritto verso il 1978




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