ANALYSE  RÉFÉRENTIELLE
ET  ARCHÉOLOGIQUE


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Ennio Floris


Autobiografia





Cagliari

Il giardino





Introduction

Cagliari
- Il giardino
- La grammatica latina

Arezzo

Pistoria

Roma

Il Santo Uffizio

Firenze

Sulla via del protes­tantesimo

Sous le Christ, Jésus



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   Rivado col pensero al giardino di nonno, a Cagliari, dove vivevo, fiorente in quella zona di orti che discen­dono da Castello lungo il campidano fino al Monte Urpino. Ci vivevo come un passerotto, uno « sturru », come mi chiamava il nonno in dialetto sardo, vagando d’albero in albero, o coltivando delle piantine nelle mia piccola aiuola o sdraiato sull’erba, aspirando il profumo dei fiori.
   Fu il nonno che, fin dal prima mia infanzia, mi permise di vivere in esso con tutta liberta. Ai miei fratelli che si lamentavano contro di lui perché proibiva loro quello che aveva concesso a me, egli rispondeva « Ennio non rompe mai i rami delle piante e non deturpa i fiori come voi ». Era vero il motivo pero non era solo questo, ma un amore privilegiato.
   Me ne accorsi un giorno in cui, avendo commesso una birichinata, mia madre mi rincorse fino a raggjungermi dietro suo padre, il nonno, al quale mi ero stretto, per rifugio. Lasciando avvicinare mia madre, sua figlia, il nonno le disse: « Teresa, se hai coraggio per prenderlo tu dovrai passare attraverso il corpo di tuo padre ! ». Lo disse seriamente o con ironia ? Sul serio, penso.

   Per lui io ero una persona sacra. Lo compresi ancor meglio un’altra volta. Una sera, prima di rientrare in casa il nonno, come d’abitudine, sedeva di fuori sulla strada, ai limiti del portone del giardino. Io mi accovacciai per terra, accanto a lui. Egli mi disse, fra l’altro : « Ti dico una cosa che non ho detto a nessuno, come alla persona di massima confidenza : ho venduto l’anima al diavolo, col patto che mi renda giovane. » « Ma come si fa, nonno, a vendere l’anima ? » gli dissi. Non rispose, ma aggiunse : « Ma tu sei qui, é molto per me ».
   Capii che lui vedeva in me la sua immagine di ragazzetto che, come uscita dalla sua memoria, s’immedesimava con la mia, balzandogli intorno come un folletto. Egli mi amava, come anch’io l’amavo, non potendo restare lontano da lui. Ero con lui comme con i passeri, quando andavo d’albero in albero, correndo, parlando con essi, e dicendo loro che avrei sempre spartito con essi, per mangiare i fichi che avevo colto sugli alberi. Ero convinto che essi mi capivano. Mi piaceva anche di restare sul soglio delle aiuole, quando nonno coglieva fiori per farne un mazzo per i suoi clienti. Trovavo un grande piacere nel carezzare i fiori, senza pero mai intaccarli. Ma un giorno mi dissi : « sono diventato ragazzo o sono rimasto bambino ? »



   Questo pensiero mi assillava e cercavo che anche gli altri ne fossero convinti. Ma essi temevano per la mia salute.
   Qualche anno prima infatti, avevo tanto sofferto a causa d’una malattia che m’inchiodava a letto, con frebbe altissima, accompagnata da allucinazioni, delle quali non ho mai saputo il nome. Dovevo sempre lottare con diavoletti rossi, che riuscivo à gettare à terra, ma altri spuntavano dal suolo più numerosi di prima, al punto che gridavo aiuto come un disperato. Non potevo allora pensare che queste lotte fossero delle allucinazioni, suscitate da un manifesto di publicità d’un tissuto di lana, dove era raffigurato un uomo-bestia, alato, che respirava fuoco. Mi veniva da pensare che forse ero venuto nel mondo in seguito al patto che il nonno aveva fatto con diavolo perché divenissi un diavoletto in carne e ossa. Si aggiunga che non potevo capire altrimenti perché mia madre, quando mi rimproverava per qualche mia scappata mi diceva sempre, « tizzone d’inferno ». O forse essa pensava à una tentazione del diavolo, in seguito alle relazioni che nonno aveva con lui.

   Lo potrei testimoniare perché avevo visto un giorno il nonno rivolto verso il cielo, il braccio destro teso e la mano chiusa, il pollice stretto fra l’indice e il medio, gridare à Dio : « La bagascia qui t’a nasciu » (La puttana chi t’a generato). Capii ch’egli diceva cosi anche della Vergine Maria ! Domandai alla mamma che cosa significasse « bagascia ». Fuori di se, essa mi disse : « Dove hai tu sentito questa imprecazione ? Vedo che incomminci a frequentare persone di mala vita e ragazzi di strada ! Ma da chi hai tu udito questa parola ? Con chi eri ? » Ripetava : « Mamma, ti sbagli, non sono andato con nessuno ; l’ho sentita da nonno ! ». Fu sul punto di svenire, mamma ! Ma io potevo vedere spesso la figura di mio nonno, levato dritto verso il cielo, faccia a faccia con Dio : era quello que potevo spesso vedere ! Il nonno credeva in Dio, ma aveva la conscienza di essere in continua disputa con lui. Ma chi era Dio per me ?



   Un giorno venne in casa una zia, la sorella della mia madrina di battesimo. Parlava con mia madre nella cucina, che dà sul giardino. Di fronte, non molto lontano, io coltivavo la mia aiuola, gettando spesso il mio sguardo sulla cucina, per vedere se la zia aveva portato dei dolci sardi, confezionati da lei e da sua sorella. la madrina di quasi tutti noi. Sentendo pro­nunziare da lei il mio nome, mi avvicinai di nascosto all’angolo della porta della cucina e sento la zia che dice : « Ma Ennio non é brutto, anzi é carino... peccato che il suo strasbismo lo rovini. Quell’occhio lo randrà infelice tutta la vita ! » Scappai dall’angolo della porta come un serpente sorpreso. Mi vedevo infelice, come un uomo rigettato, soprattutto dalle donne. Ma perché ero cosi ? Temevo che, adulto, mi sarei rivolto à Dio piuttosto comme a un padrone che mi aveva trascurato che comme a un padre.
   Un giorno, come al solito, ero in giardino ma un temporale si annunziava con lampi e tuoni. Drizzai allora il mio sguardo nel cielo per veder comme Dio suscitasse le nuvole. Inseguendolo con lo sguardo, gridavo : « Perché mi hai fatto cosi, Dio ? Perché mi hai messo nel mondo per redermi infelice tutta la vita ? No ! Non voglio fare un patto col diavolo come nonno. Non lo conosco io il diavolo, e non me ne importa di lui. Ma se devo vivere infelice, fa che io muoia. Ti prego, lanciami uno di questi fulmini che si accendono sulle tue mani. Fammi la grazia que io muoia ! E un bambino che te lo domanda. » E incomicia a piovere acqua che si transforma in un torrente impetuoso che pareva riversarsi su di me e travolgermi, tra tuoni e lampi, si que che perdo la conoscenza !
   Quando mi sveglio mi trovo in un letto e vedo, courvi su di me, la mamma, Umbertina et il dottore. Avevo ancora la febbre alta, ma tutti dicevano che ero salvo ! Mi domandavano che cosa mi era successo, ma non dissi la vera ragione. « Guardavo il cielo, risposi, e mi sembrava bello ! Ma poi i tuoni e i lampi mi avevano travolto. Ma Dio mi aveva salvato, perché potevo parlare con Lui. Egli non ha voluto che io muoia ! »
   Non avevo ancora otto anni, perché cio’ avvenne prima della morte di mio padre o alla morte stessa.




2005




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t491100 : 14/11/2020