ANALYSE  RÉFÉRENTIELLE
ET  ARCHÉOLOGIQUE


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Ennio Floris



Ulisse



Drama in otto quadri






Quinto  Quadro :

Il viaggio nell’oceano


(Sulla nave)




Sommario
Dedica
Personaggi
Prologo

I due supplicanti

L’arrivo di Nausica

La deliberazione dell’impresa

L’addio

Il viaggio nell’oceano
- Scena Prima
- Scena Seconda
- Scena Terza
- Scena Quarta
- Scena Quinta
- Scena Sesta

L’omaggio al Re dell’Atlantide

L’uccisione di Poseidon

Il sacrificio di Ulisse


SCENA TERZA


(Ulisse, Diomede, Alcmeone, un marinaio)




ALCMEONE
Venendo al tribordo

– Salve, compagni. Ho affidato il commando della na­ve al timoniere che, con questa bonaccia, potrà pi­lo­tare senza pericolo d’abbordo. Ma che tempesta, questa notte ! Credo che neanche i mostri marini si sarebbero potuti salvare se non si fossero rifugiati nel profondo degli abissi.


DIOMEDE

– Come vanno i tuoi uomini ? Tremano ancora di pau­ra ?


ALCMEONE

– La paura è passata, ma sono sfiduciati e depressi perché non hanno più alcuna speranza. Non credono più nell’esistenza dell’Atlantide.


DIOMEDE

– E tu ci credi ?


ALCMEONE

– Come capo, devo credere ! Ma ti confesso che non trovo niente per accreditare questa mia fiducia.


ULISSE

– Io invece ci credo ancora appoggiandomi sulle pa­role del veggente. Egli ha parlato non come un uomo che ha visto e che può mentire, ma come uno che ha letto cose che non ha visto e non poteva vedere. Le ha lette nel libro della memoria.


DIOMEDE

– Anch’io ci credo. Mi appoggio però sul fatto che da millenni gli uomini ubbidiscono al divieto di oltre­passare le colonne d’Èracle. Non lo farebbero se non ci fosse veramente qualche cosa nell’oceano. Per me questo divieto non è altro che la proiezione di un in­cubo che essi hanno per l’esistenza di questa terra che mette loro paura.


ULISSE

– Perché sono incapaci di essere
eroi.


DIOMEDE

– Tu,
Ulisse, ragioni sempre da eroe, io invece resto nella dimensione dell’umano. Sono convinto che vi­vere da uomo è lottare in tutti i momenti contro la necessità della natura, oltrepassando i limiti, violando i divieti, superando le distanze che ci obbligano a fermarci. Vivere è superarci, liberarci...
   Vedi,
Alcmeone, noi uomini siamo come prigionieri gettati in una fossa. Ora l’unica preoccupazione di questi prigionieri non sarà altro che spezzare le catene e liberarsi. Ma se poi trovano la morte ? Mi dirai. Ebbene, rispondo che sciogliersi da quelle catene e uscire da quel buco è già vivere. Quando vedo che questo mare immenso tocca, ai suoi limiti, il cielo e che in esso i giorni si susseguono alle notti senza fine, e che l’alba insegue il tramonto, divengo come pazzo di gioia. Vale la pena d’essere uomo. Perché, vedi, se siamo qui sarà per qualche cosa, anzi direi che è già qualche cosa di grande, di bello, di altro che la con­dizione in cui stavamo prima.


ULISSE

– Si, tutto questo è motivo di gloria per l’uomo !


DIOMEDE

– Scusatemi se sono più modesto. Come va Nausi­ca ?


ULISSE

– Essa dorme nella sua culla e sogna l’alba !


ALCMEONE

– Vorrei che quest’alba non fosse come le altre. Già per cinque volte
il sole ha illuminato la sfera della luna, ed erriamo sulle acque da cento cinquanta notti. I giorni inseguono le notti e noi remiamo dietro, ma siamo sempre qui. Si, dico qui, perché non abbiamo nessun punto di referimento per sapere se in questo momento siamo altrove. Ci troviamo nell’immenso, dove tutto è uguale, senza nessun cambiamento.
   Fino ad ora,
Ulisse, i marinai hanno preso come un oracolo la tua esortazione che li spronava a mettersi in groppa alle onde per rincorrere i cavalli del sole. Ora si sono accorti che questa rincorse è vana... Quan­do pensano di aver raggiunto il sole all’oc­ci­den­te, ecco che esso scompare nella notte. Essi remano ancora credendo di riguadagnare il tempo perduto durante il riposo del sole, ed ecco che l’astro riappare alle spalle... Essi temono di trovarsi in un cerchio girando intorno senza possibilità d’uscita.


DIOMEDE

– Mi dici che i marinai hanno sperimentato questo ?


ALCMEONE

– Si, me l’hanno detto, perché costituisce la loro an­goscia.


DIOMEDE

– Ma essi hanno scoperto una cosa che ci restava ignota fino ad oggi... Una realtà prodigiosa, che cam­bierà la coscienza degli uomini e permetterà loro di uscire dalla loro stalla, dove vivono come pecore.


ULISSE

– Che cosa ?


DIOMEDE

– Che
la terra è rotonda. Rotonda, capite ? Perché se inseguendo il sole fino al tramonto e durante la notte noi lo ritroviamo al mattino alle nostre spalle, la nostra traiettoria è circolare.


ALCMEONE

– Allora se andiamo sempre avanti ci potremo ri­tro­vare allo stesso punto ?


DIOMEDE

– Se non ci fossero dei continenti...


ULISSE

– Dunque ci debbono essere dei continenti... Nella peggiore delle ipotesi ci troveremo sui bordi estremi e ancora sconosciuti dei nostri continenti, l’Europa, l’Asia, la Libia.


DIOMEDE

– Brindiamo col samos, amici, siamo arrivati al punto di conoscere i limiti della terra... Ora non ci resta che penetrare l’enigma degli Dei.

Chiamano un marinaio perché porti loro il vino. Egli lo porta ad essi bevono, abbracciandosi.




Scritto verso il 1978




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