ANALYSE RÉFÉRENTIELLE |
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Ennio FlorisAutobiografia |
RomaAll’Angelicum |
Introduction |
Il conflitto con Padre JouffroyIl primo di questo é il conflitto che ebbi col Padre Jouffroy, professore di Propedeutica, di cui segui il corso nel primo anno di teologia. Seppi subito che era discepolo di Garrigou-Lagrange, considerato da tutti come uno dei più gran teologi della Chiesa, e di cui seguivo il corso di teologia dogmatica. La Propedeutica era la disciplina piuttosto preparatoria della téologia che teologica, tesa ai problemi metodologici atti a disporre allo studio di essa. Ora una delle questioni, era quella dei « motivi » di credibilità. Siccome la téologia tratta di problemi la cui soluzioine é data non per ricorso ai principi di ragione ma a quelli della fede, costituiti dalla parola delle Scritture, essa trova il suo primo problema sul quello della credibilità di questa. Due ipotesi circolavano sul problema della credibilità. Secondo la prima tesi, la parola delle Scritture é creduta come parola di Dio, quindi come verità, se é preceduta o accompagnata da un miracolo che, essendo un evento al disopra delle leggi della natura, costituiva un segno di garanzia dell’origine divina d’una parola o d’un evento. Secondo l’altra tesi, il miracolo precede quasi sempre o accompagna questa parola, senza offrire pero l’evidenza della sua verità, evidenza che é data invece dalla testimonianza dello Spirito Santo, in colui che crede. Jouffroy espose nelle sue lezioni come vera la seconda ipotesi. Alla fine delle sue lezioni ci chiese se avevamo delle obiezioni a questo rigardo. Io gli dissi che aderivo alla prima tesi, perché era oggettiva, fondandosi su eventi che erano una prova negativa che la parola veniva da Dio. Quanto alla testimonianza dello Spirito Santo, essa mi appariva soggettiva, non avendo una prova per sapere se essa proveniva da un intervento di Dio oppure da un transfert di coscienza. Il professore insisteva che la testimonianza dello Spirito Santo stava alla fede, come l’evidenza alle conosceze razionali, con la differenza che in queste essa era data dall’oggettivita della verità della parola, in quella da Dio, che é il soggetto di questa verità. « Capisci ? » mi diceva. « Si, capisco, ed é logico partendo dalla fede, che presuppone la verità della parola di Dio, ma non dalla ragione, che non la presuppone, ma ne exige la prova.» Jouffroy s’indispetti in un modo, direi vile e indegno di un professore. Mi disse che non comprendevo nulla perché, disgraziatamente, non potevo comprendere ! E publicamente affermo’ che gli rimaneva incomprensibile come un Convento domenicano, come quello della Minerva di Roma, potesse inviare all’università una persona limitata come me ! Io mi chiusi in me stesso, col proposito di essere interiormente assente, por non potendolo fisicamente, per evitare di vedere questa « merda » d’uomo. E rimasi per più di una settimana zitto, pur sentendo tuitti i giorni Jouffroy esclamare alla fine della lezione : « Tutti quanti capiscono, eccetto il piccolo minervitano ! » Aveva compassione di me o disprezzo ? Voleva mostrarsi compassionevole verso di me, per non essere accusato di sadico, ma questa compassione era il cammuffamento del disprezzo sulla bocca di un vile. Il conflitto non fini pero’ qui’. Alla fine delle lezioni su quest’ argomento, Jouffroy propose che si tenesse un « dibattito », e nomino’come difensore un giovane francese, e me come obbiettore. Rifiutai, non avendo più a che vedere con quest’uomo. Ma lui, balzando quasi di gioia, affermo’ : « E quello che m’aspettavo, perché prevedevo che tu avresti preso coscienza dei tuoi limiti e non avresti accettato’ ! » Mi alzai e lo guardai con furore : « Figlio d’una puttana ! » dissi piano in italiano, « Non recuso », soggiunsi in latino. « Ah, no, tu hai rifiutato e non puoi ora accettare ! » Lo guardai, ma questa volta per lanciarli una sfida : « Ho rifiutato non perché ho preso coscienza dei miei limiti, ma forse per timore di mettre a nudo i vostri. E voi dimostrate di avere questo timore, cercando che mi ritiri da me stesso da questa disputa cosciente di essere un imbecille, perché non si sospetti che voi cercavate di evitarmi. Il professore ha forse paura di uno studente ? » E fu obligato a mantenermi come obbiettore. La disputa incomincio’ in un clima di tensione. Il difensore pronunzio’ la sua difesa, terminando col dire che non vedeva alcuna ragione per negare la tesi, perché é evidente e non ci si puo’ opporre che con sofismi. Infatti nego’ in pieno la « maggiore » del mio primo sillogismo, cio’ che mi metteva in situazione di falso anche al livello formale della disputa, che doveva svolgersi in forma dialettica, secondo la tradizione della scuola : « Nego maiorem », disse solennemente, mettendo fuori gioco il dibattito. Ma Jouffroy stesso intervenne per persuaderlo della gaffa del suo pupillo. Io colsi la palla in balzo : mi rifiutai di proseguire il dibattito col difensore. Essendo stato incapace di rispondere, attaccando la forma per sfuggire al contenuto, perdeva il diritto di esserne il difensore. Non potevo rivolgermi che a colui che l’aveva sostituito, il professore ! Jouffroy monto’ su tutte le furie, dicendomi non essergli mai capitato un cosa simile, e che quello che io pretendevo era fuori norma e non aveva senso. Il dibattito deve tenersi fra studenti, « Capisci ? » Ma era quello che non volevo capire ! E non cedetti. « Non é colpa mia, gli risposi, se voi avete scelto male il difensore ! ». E mi misi a sedere, finché lui, esasperato e temendo anche per la tensione crescente fra gli studenti, mi disse : « Continuate ! » Lasciando l’aspetto formale che mi sarebbe del resto difficile riprodurre, mi attardero’ sulla materia. Rivolgendomi dunque al Professore, espressi il mio primo ragionamento cosi : « Per credere che una proposizione di fede é vera bisogna essere certi che essa venga da Dio. Ora questa certezza non puà venire dall’evidenza del contenuto della parola, perché é oltre i limiti dell’esperienza, ma dal miracolo che, non potendosi spiegare per le elggi della natra, diviene una prova negativa che essa viene da Dio. Ma la parola come il miracolo stesso non sono oggetto di esperienza di colui che crede, ma eventi soggetti alla contingenza della storia e della cononsceza umana. Qindi si crede, ma restando condizionati dal dubbio che queste condizioni suscitano. » « Bisogna distinguere, disse Jouffroy, fra la conoscenza della ragione e conoscenza della fede. In quella della ragione si giunge alla verità con l’analise del fenomeno o di una parola, se sono teorici, con la testimonianza di un uomo e di un documento, se sono storici. Ma nella fede colui che dice la parola é Dio, Soggetto che non é l’umano, condizionato dal tempo e dallo spazio, ma al di sopra delle condizioni naturali. Quindi egli resta sempre presente alla parola che ha pronunziato, testiomoniandola in colui che la riceve. Questa testimoninza é quella dello Spirito Santo. Credere, ripeto, é accettare una parola non detta o tramadata dagli uomini , ma da Dio. Ma Dio é un Sogetto la cui cononsceza non dipende dall’oggetto, ma causa l’intelligibilità di questo. Quindi, parlando, infonde nel credente quella certezza, ch’egli non potrebbe avere par la conoscenza dell’oggetto. » « Ma la certezza, risposi, puo’ essere soggettiva sia per l’impatto che un fenomeno ou une parola hanno sulla coscienza dell’uomo, o perché egli non si é accorto dei suoi errori nella loro percezione. Voi forse vi lasciate illudere dalla "idea chiara e distinta" di Descartes. Ora non basta per la certezza avere un’ "idea chiara e distinta", ma bisogna che la chiarezza e l’identità di essa siano provate. Bisogna arrivare a que la certezza epistemologica della fede sia del tutto distinta dal suo impatto psicologico. Quindi non si puo sfuggire a riconoscere che le condizioni di credibilità d’un fatto o di una parola siano razionali. » La disputa fu interrotta, perché l’ora della disputa era finita. La classe era stata vivamente interessata e gli attori sureccitati. Me ne accorsi sopratto quando, avvicinandomi da lui, gli dissi : « Professore, non volglio che lei mi attacchi in pubblico, come se fossi un imbecille. » Ma lui si urto’ e mi dette a comprendere molto il suo stato d’animo. Ricordo le sue parole, come se le avesse udite ieri, eppure é pasato mezzo secolo : « Chi sei tu, per dire "non voglio" al Padre Jouffroy ? Non perché io sono il Padre Jouffroy, ma perche sono Professore all’Angelicum di Roma ? » Gli risposi che, non essendo che un uomo offeso non domandavo altro che di essere lasciato in pace. Mi rispose, « Do tibi pacem in sæcula sæculorum ». Era impossibile che non dicessi « Amen ! » Devo aggiungere, per tutta onestà, che egli si comporto’ con correttezza all’esame. Io mi ero preparato per rispondere alle sue domande secondo quello che egli aveva insegnato. Si permise solo di dirmi : « come fai a rispondere con quello che insegnai, quando pensi differentemente ? » Gli risposi che l’esame non era una disputa ma una prova per dimostrare che si ha bene imparato la materia insegnata. Mi promosse a pieni voti ! |
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t494110 : 15/11/2020