ANALYSE RÉFÉRENTIELLE |
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Ennio FlorisAutobiografia |
Il Santo UffizioIntervenzione del Santo Uffizio |
Introduction |
Il convento di BibbienaUna intervenzione del Santo Uffizio per indagare sulla mia persona mi pose, come vedremo, nella situazione di operare questa critica. Avverto il lettore che la mia intenzione non é di fare un processo al processo intentantomi dall’Inquisizione ma di farne allusione nei limiti dell’interesse relativamente allo sviluppo della mia critica. Fui interrogato per diverse volte per una serie di domade sporadiche, di cui riconobbi l’accusatore : su incontri, persone, atti, parole, che potevano essere interpretate diversamente, secondo l’intenzione con cui erano state dette o fatte. Non mi sfuggi che questo modo di interrogatione era subdolo, confusione tra quello del confessore e quello di un giudice. I due livelli erano confusi, in modo che si poteva accusare un uomo non per quello che aveva commesso ma per la presunta intenzione per cui l’aveva fatto. Questo naturalmente m’indispose, rendendomi cauto e generico nel rispondere per non confondere i due ordini. In attesa d’essere richiamato per proseguire l’interrogazione o per il processo, fui lasciato a Roma, poi inviato in un convento di suore, a Bibbiena, dove vivevo naturalmente bene , ma solo col confessore delle suore o con qualche altro indagato come me dal Santo Uffizio. Il convento era su una valle ai piedi del Laverna, il convento dove Santo Francesco, con le stimmate, si ritiro, e scrisse o detto’ forse, il Cantico di frate sole. E questo fu per me di grande eccitamento poetico perché la natura corrispondeva a quella creatura di un Dio, che Francesco canta nel suo inno. Il Convento era congiunto a una chiesa, del Quattrocento, con due Madonne, una nella parte superiore, sempre velata, l’altra nella cripta, in legno di ciliegio, anch’essa del quattrocento, molto bella, illuminata leggermente di giorno e di notte : la Madonna del buio. Accanto, una grotta dove, secondo la tradizione, visse un romito, al quale era apparsa la Madonna. Passai i primi mesi immerso in questa atmosfera francescana, che mi sembrava discendere dolcemente sulla valle dal Laverna. Spirito di poesia cortese, dove la natura era mediatrice fra l’uomo e Dio per un’unione di fratellanza fra gli umomini. Uscivo per passeggire nei campi ripetendo « Laudato sii mio Signore per frate sole perché esso é bello, robustioso e forte ! » E in questo spirito si produceva in me una scissione fra la critica dialecttica che si era imposta nella mia mente come pretesa contro la fede, e il desideiro di pace, di comprensione e d’amore. Non c’era opposizione fra la ragione e sentimento, ma solo distinzioine fra due livelli d’intelligenza e di comprensione. Ma certo lo spirito critico era rimosso nel silenzio de l’iconsciente. Questi dubbi mi inducevano a pensare che la mia carriera di dottore en Teologia era finita, e che forse incomminciava quella di critico. Mi ricordai della parole del Padre Brown. Avevo si la téologia, ma essa restava in me come un birillo sulla mano, un soffio la faceva cadere per terra. Dovevo uscire da questa situazione e metterlmi nella condizione di intraprendere un’altro compito, quello di salvare la ragione, domandata in sacrifio a Dio dalla fede ! E mi ritrovai in una « selva, selvaggia ed aspra e forte, che nel pensier rinnova la paura » ! |
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t494321 : 17/11/2020