ANALYSE  RÉFÉRENTIELLE
ET  ARCHÉOLOGIQUE


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Ennio Floris



Ulisse



Drama in otto quadri






Terzo  Quadro :

La  deliberazione  dell’impresa





Sommario
Dedica
Personaggi
Prologo

I due supplicanti

L’arrivo di Nausica

La deliberazione dell’impresa
- Scena Prima
- Scena Seconda
- Scena Terza
- Scena Quarta
- Scena Quinta
- Scena Sesta

L’addio

Il viaggio nell’oceano

L’omaggio al Re dell’Atlantide

L’uccisione di Poseidon

Il sacrificio di Ulisse

SCENA SECONDA


Sala del consiglio, a semicerchio in modo che la platea possa considerarsi come facente parte di essa. A destra, un braciere acceso. A sinistra, un candelabro.
Al centro, Penèlope e un posto vuoto, davanti ad essa, Nausica. Ai lati, Capi Achei (fra i quali il pa­dre di Antinoo), Alcmeone, Schiavi. Un aedo.

Ulisse entra con Diomede.



L’AEDO
Al suono del liuto

– Cantami, o Diva, del pelide Achille
   l’ira funesta che infiniti addusse
   lutti agli Achei...


ULISSE
Mettendosi nel mezzo della sala

– Cessa, o aedo, di cantare la gloria di questa guerra, perché i popoli hanno voglia di piangere. Non mi pre­sento davanti a voi, o re, nella mia armatura di bron­zo e d’oro con cui anch’io ho combattuto con gli eroi morti nella gloria, ma in abito de supplicante, per im­plo­rare la misericordia degli Dei e la pietà dei mortali. No, non sono l’eroe che fu, ma un profugo ; non l’astuto e sagace consigliere della guerra, ma un in­felice combattente del ritorno. Un uomo persegui­tato dall’ira di Poseidon, errante per terra e per mare, dai porti dell’Asia misteriosa alle terribili colonne d’Èra­cle, spinto dai venti, sbattuto dalle onde, più volte sprofondato negli abissi del mare, spesso gettato iner­me sugli scogli, preda degli uccelli e dei serpenti marini. Assetato, affamato, contuso, nudo, rivestito di alghe.

Rivolgendo gli occhi al cielo.

   Ma perché, o signore dei mari, mi hai cosi per­seguitato ? Ah ! si, lo so, ho ostato aprire una breccia sulle mura di questa città che tu avevi costruita e consideravi tua e che, con l’amico che tu mi hai fatto incontrare, ho dato alle fiamme. Misericordia, o Dio ! Tu sai che per domandarti perdono, sono andato fino negli inferi, interrogando gli eroi : Achille, Agamèn­none, Pilade, e soprattutto Tiresia su quello che avrei dovuto fare. Ora Tiresia mi ha predetto una fine pa­ci­fi­ca, se ti avessi fatto un sacrificio. Eccomi qui, o Dio, per consigliarmi con i re dei nostri popoli quale sacrificio ti sarebbe gradito...

Ulisse si copre il viso. I presenti sono commossi.


IL PADRE D’ANTINOO

– Non basta, o nobile Ulisse, il sacrificio agli Dei. Tu devi domandare pietà anche ai giovani pretendenti che hai ucciso per gelosia e quasi per tradimento pro­prio in casa tua il giorno del tuo ritorno. Essi, con mio figlio Antinoo, chiedono vendetta del loro sangue.


ULISSE

   – Sono qui anche per questo, illustre re. Sarei pron­to a andare di nuovo negli inferi per incontrare tuo figlio e i giovani Achei che ho ucciso per salvare l’o­no­re de mia moglie e il mio regno. Ma nell’incertezza di po­terlo fare, offro agli Dei e ai giovani morti il mio arco affinché non sia più arma di morte ma emblema di pace. Ma, per Zeus, non dire che li ho uccisi per tra­dimento, perché, non appena mi hanno riconos­ciuto, volevano disfarsi di me, come avevano tramato contro la vita di Telèmaco, mio figlio. La mia astuzia non fu un tradimento, ma un mezzo di legittima di­fesa.


PENÈLOPE

– Cessi il vostro odio, o eroi, poichè si è spenta la gloria dela guerra. Forse sono io la causa della morte di questi giovani gagliardi. Io che, davanti alla loro richiesta d’amore, ho tergiversato per paura e anche perché Afrodite ha offuscato i miei ochi con la loro bellezza. Ma ecco che, vestita de supplicante, invoco anch’io la pietà degli Dei e il loro perdono.

Essa si avvicina al braciere e vi getta essenza di rose.
Mentre il fumo sale, rivolge gli occhi al cielo.


   Guardatemi ora con i vostri occhi spenti, giovani che viventi avete cercato di sedurmi. Si, sono Penè­lope, la donna che avete desiderato di possedere, ma che vi sfuggiva tessendo una tela senza fine. Ora l’ho finita questa tela, lunga, oscura e ne ho fatte una tuni­ca di penitente. L’amore che non avete potuto avere in vita, potete possederlo ora che siete morti. Respira­te il profumo di rose che vi porta il sentimento del mio cuore. E trattenete le Erinni, affinché esse non aggiungano sangue al sangue già sparso. La morte che ha trasformato in voi l’amore in vendetta sublimi la vendetta in amore.


CORO DELLE VERGINI

– Il nostro lamento va giunga, o giovani
   nel sonno della morte
   come il canto dell’usignolo
   all’amante tradito
   nel cuore della notte.
   Si calmi la vostra vendetta
   al profumo di rose
   che sale dal braciere,
   esala dal suo corpo :
   si plachi la vostra passione.
   Se non potete più vedere
   – oh i vostri occhi spenti ! –
   la donna che avete amato,
   si accenda la mente
   per desiderarla da lontano.
   Sepolto nella zolla
   il chicco di grano anela
   il caldo del sole.
   Non piangete più giovani :
   morti nell’Adès
   voi siete vivi nel cuore
   di quelli che vi amano.

La madre dei Antinoo abbracia Penèlope, il padre Ulisse.


ULISSE

– Ora che abbiamo ritrovato la pace, permettete che vi presenti Diomede, mio compagno nella gesta di Troia. Anche lui vuole associarsi a noi nel sacrificio agli Dei.


DIOMEDE

– Vi saluto, o nobili sovrani, sono Diomede, di Argo, compagno del nobile Ulisse nella guerra di Troia co­me in altre intraprese di gloria. Prendo la parola, per­ché la mia presenza qui non è estranea alla volontà degli Dei. Infatti, mi trovavo in viaggio verso la terre italiche, quando una tempesta mi ha spinto verso la scogliera d’Itaca. Penso che gli Dei mi abbiano in­vi­ato qui perché partecipi anch’io al sacrificio e alla pace fra i popoli. Siccome Ulisse intende offrire l’arco, io mi propongo di offrire al Dio del mare un simbolo di quel cavallo, che ci permise d’aprire una breccia sulle mura di Troia e di incendiarla. Confido che il Dio abbia pietà di noi e che si plachi la sua collera.


ALCMEONE

– Anch’io, a nome dei Feaci, sono venuto qui per far un’offerta al Dio del mare, in risposta alla sua volontà manifestata dall’oracolo. Gli offriamo la vergine Nau­sica, la figlia del nostro re, la perla della nostra terra.


IL PADRE D’ANTINOO

– Non possiamo accettare che ancora una volta sia sacrificata agli Dei una vergine, come lo fu Ifigenia da Agamènnone, suo padre. Basti il sangue versato dai nostri figli !


ALCMEONE

– Illustre re, non si tratta di sacrificio al quale Alci­noo, Areté la regina e il popolo tutto si sarebbero rifiutati. Vogliamo solo offrirla come vergine al culto del Dio, secondo l’oracolo. Più precisamente, voglia­mo ch’essa sia presentata al Dio affinché egli risolva il dilemma in cui resta presa l’anima della ragazza. Infatti, il mattino che aveva trovato Ulisse, essa era stata andata al fiume con l’intenzione, dietro suggeri­mento di Atèna, di lavare la sua biancheria per le sue nozze. Avendo trovato Ulisse, essa pensava che cos­tui fosse il marito al quale le Dea la affidava. Ma, siccome Ulisse aveva rinunziato a prenderla essendo già sposo della nobile Penèlope, essa era rimasta ver­gine, in attesa del compimento del messagio di Atèna. Più tardi l’oracolo ha dichiaratoche essa debba essere vergine.
   A chi deve dunque ubbidie la ragazza ? A Atèna o all’oracolo di Poseidon ? Saggia, essa non vuole deci­dere prima che gli Dei stessi non sciolgano l’enigma. Vuole recarsi personalmente presso il Dio per togliersi da questa contradizione. Essa è convinta che il Dio non potrà dare una risposta senza l’intervento di Atè­na.


ULISSE

– Vorrei che gli assistenti sapessero che Nausica stes­sa è voluta venire qui per farmi arbitro e anche attore nell’esecuzione di tutti gli atti che saranno ne­cessari per la soluzione del suo problema. Io intendo inter­ro­gavi, come pure domandare l’avviso degli interpreti dei segni divini, fino a condurla sotto la mia prote­zione all’altare del Dio, là dove egli si manifesta per­so­nalmente.

A Nausica

Tu puoi parlare Nausica. Credo che gli amici vorreb­bero udire la tua voce, come vedere il tuo volto.

Nausica si leva in piedi sollevando il bianco velo. È vestita di una tunica rosa, cinta di un nastro d’oro.


TUTTI

Nausica, Nausica !


NAUSICA

– Sono Nausica
   la figlia d’Alcinoo, il valoroso,
   e d’Areté, l’augusta.
   Nacqui in una vela di mare,
   fiore di loto che sboccia
   nel cavo d’una foglia
   galleggiante sull’onde.
   Luce piove dal cielo sui miei occhi
   umidi di pianto,
   solo carezze di vento
   scorrono sulle mie labbra
   non ancora baciate.
   Perché, o figli della terra,
   vi siete allontanati da me
   quando gli Dei rivaleggiano per avermi ?
   Forse non avete osato cogliermi
   per paura d’amarmi.

Essa si ricopre il volto col celo piangendo.


CORO

   Non piangere, Nausica !
   Atèna asciughera le tue lacrime
   come la brezza del mattino aspira
   la rugiada dei fiori che si schiudono.
   Non potrà Afrodite mostrarsi sdegnosa
   a una vergine fanciulla
   che si fa supplicante d’amore.


IL PADRE D’ANTINOO
Rivolto verso Ulisse e Diomede

– O eroi, che non avete temuto di combattere gli Dei per liberare une donna greca rapita da un barbaro, osate combatterli ancora per liberare una fanciulla da un oracolo che vorrebbe offrirla come vergine in ser­vizio della prostituzione di un tempio ?


ULISSE

– Siamo qui per questo, o re. Ma sarebbe meglio chie­dere consiglio a Evenor, il cieco che vede con gli occhi dell’anima ciò che resta nascoto alla vista degli occhi del corpo.




Scritto verso il 1978




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